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image: Giuseppe Pennisi
foto: Giuseppe Pennisi
Un concreto progetto ideale
Maria Will

Al centro del lavoro di Antonietta Airoldi sta l'individuo. Sta il pensiero per l'uomo, simile tra i simili impegnato nel viaggio, nel calvario forse, della vita. È nudo quest'uomo e occorre fornirgli degli abiti; non ha casa, o, se anche, la sua casa è fredda e disadorna, e occorre fornirgli di che ripararsi e trovare conforto.

Si intenderà subito come tale lavoro abbia nella dimensione simbolica la sua fondamentale chiave di lettura. Il filo che, intreccio dopo intreccio, fa nascere sul telaio la desiderata trama, scrive messaggi da liberare nel giro di un passo di danza o nell'arco gonfiato da un colpo di vento. Se l'uso del colore in questo ordine di idee, ossia in questa specie di codice linguistico, assume un ruolo assolutamente fondamentale, si vedrà come l'approdo di Antonietta Airoldi alla confezione di vesti liturgiche risulti un'evoluzione del tutto naturale - e quasi predestinata - della sua ricerca, tutta indirizzata al superamento della quotidianità; o meglio, ad una rinnovata consapevolezza del suo significato.


La ritualità osservata nelle pratiche e nelle cerimonie devozionali costituisce infatti la manifestazione compiuta e assurta a norma - popolare, cioè, alla fine, sociale - di una “sacralità" percepita, anche al di fuori di un pensiero e di un ambito propriamente religioso, quale costante contrappunto che ritma le stagioni umane nel loro piano e prosaico svolgersi. Da qui, il passo a figurarsi un teatro continuo, che con i suoi movimenti cadenzati incornici ed esalti il senso e il gusto del vivere, è davvero breve. L'artista diventa allora il regista di un'azione ordinatrice, di un piano di benessere e felicità: quale compito migliore e più alto, quale utopia più bella possiamo chiedere all'arte?

Il processo che conduce all'opera finita equivale per Antonietta Airoldi ad una vera e propria costruzione, all'"edificazione" di un progetto: il filo, esile entità dalle forti possibilità e dal valore metaforico a largo spettro, è ciò che lo rende realizzabile e reale. Nella scelta del materiale - la seta prediletta insieme al lino ma anche fibre "prese a prestito" per apposite inserzioni, come il filo da pesca o il filo di rame oppure fili di carta, atte ad ottenere una rispondenza speciale del tessuto - la sensibilità dell'autrice ne considera le caratteristiche non unicamente in funzione estetica. Non solo per il godimento dell'occhio lavora in effetti Antonietta Airoldi; di importanza basilare nella sua ricerca è anche la valutazione delle sensazioni trasmesse attraverso il tatto (valutazione a cui sicuramente l'artista è condotta già a motivo della grande manualità che la tessitura comporta).

In disegni di spoglia semplicità, dove si avverte la volontà e l'esigenza di metodo di restringersi entro forme di primaria, primordinale se si vuole, definizione (mantelli-cappe, tuniche), l'espressione di sontuosità che tuttavia caratterizza i pezzi di Antonietta Airoldi, è affidata al tessuto in sé, alla sua struttura - data dal corpo delle diverse fibre e dalle diverse lavorazioni - e al suo colore: i rossi preziosi, i neri lucenti o fondi, il bianco caldo.


Colori che sono venuti a determinare successive fasi di sviluppo nella ricerca, uno dopo l'altro indagati e penetrati. Accanto al colore, è la luce ad intrigare l'artista, che la cattura e le dà gioco fino a tenderle una fragile rete di trasparenze. Si potrebbe anche dire che una sorta di sentimento di purificazione resti legato a queste opere tessili, come un intrinseco dato di riconoscimento.

Profili asimmetrici, tagli architettonici a spigoli vivi e giochi di pieghe che possono celare cascate di colore, persino la scelta esclusiva del plissé come fattore costiutivo di un'opera - opera sempre "pezzo unico", ottenuto in un'unica gettata al telaio fatta di infiniti gesti - non contraddicono l'impostazione di fondo, avversa ad estranea ad ogni artificio; semmai la rendono maggiormente esplicita. A questo rigoroso attenersi al principio di semplicità, risponde anche la predilezione per il quadrato, figura di massima finitezza e concreta. Come concreto è l'operare di Antonietta Airoldi dentro una tensione di vissute idealità.

foto: Emma Casella
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